Sulle origini del toponimo sono state avanzate due ipotesi: la prima lo riconduce al locale comasco "Lomaniga" (di cui sarebbe forma aferetica), che deriva da un antico personale "Lumena", in cui l'aggiunta del suffisso -ICA sta ad indicare appartenenza; la seconda lo vuole derivante dal personale latino AMMONIUS (il suffisso aggiunto sarebbe il medesimo). Le sue origini antichissime sono attestate dai ritrovamenti (i resti di una palafitta) databili all'Età del bronzo antico (1800-2000 a.C.). Un'ara dei secoli IV-V a.C. testimonia una successiva presenza dei romani, che nei pressi costruirono la direttrice di unione tra Brescia e Verona. Nel corso del Medioevo le sue vicende non dovettero essere diverse da quelle delle altre località della Valtenesi: testimone degli scontri medioevali e di quelli dei tempi successivi è il castello, tuttora ben conservato. Tra gli elementi di rilievo del suo patrimonio storico-artistico sono: la chiesa di San Michele, quella romanica di San Sivino e la parrocchiale intitolata a San Martino. Per l'architettura civile la testimonianza più importante è senz'altro il castello di epoca tardoromanica (fra i meglio conservati della Valtenesi). Molto suggestive sono alcune abitazioni del XV secolo e la Villa Brunati, risalente al XVII secolo.
Tra i borghi fortificati sorti sulle colline gardesane nel X secolo, il castello di Moniga è uno fra i meglio conservati, sia per quello che riguarda la pianta, sia per le strutture murarie. Poiché non vi è mai stata la presenza di un palazzo signorile e mai un signore del luogo vi ha abitato, è corretto definirlo un castello-ricetto (dal latino receptum = rifugio): una semplice aggregazione di case dove la popolazione del villaggio circostante si rifugiava in caso di pericolo, portando con sé quanto necessario al suo sostentamento. E' dunque una costruzione difensiva di tipo comunale, molto simile a quella di Padenghe e alle altre presenti in Valtenesi. Non solo: è proprio tra i vari castelli della zona che, nel periodo delle invasioni barbariche, si sviluppò un ingegnoso sistema di collegamento grazie al quale, attraverso l'uso di precisi segnali, era possibile avvisare del pericolo da qui fino alla città di Brescia. Il castello si trova nella parte occidentale dell'abitato, su una leggera altura coltivata a vigneto; non è, come altre costruzioni simili, sul ciglio di una scarpata, ma sulla strada che collega alcuni dei castelli di cui abbiamo parlato. Ed è proprio la sua posizione ben poco strategica, grazie alla quale non ha mai subito assalti e conquiste significativi, che gli ha garantito una così buona conservazione, preservandolo da profonde trasformazioni architettoniche. Fu costruito, come gli altri, per far fronte alle invasioni ungare del X secolo; poi, ormai diroccato, per un certo periodo il castello venne abbandonato. Più tardi iniziarono a stabilirvisi pastori e contadini che possedevano terre nei dintorni: così, da questi accampamenti improvvisati, nacque l'idea di abitare stabilmente il castello. I materiali impiegati nella ricostruzione fanno pensare che le murature siano del XIV e del XV secolo, periodo al quale si fanno risalire tutte le strutture oggi visibili.
La chiesa dedicata alla Madonna della Neve è un piccolo edificio che sorge, isolato, nella campagna di Moniga e non molto distante dal lago di Garda. La chiesa è circondata da alti cipressi e da un corso d’acqua; alle spalle troviamo il cimitero comunale mentre la facciata è rivolta ad est, verso il lago. La chiesa è costruita in stile romanico ed è stata presumibilmente costruita attorno alla seconda metà del XVI secolo: il suo nome si riferisce al miracolo avvenuto sul colle Esquilino di Roma il 5 agosto 352. La chiesa della Madonna della Neve è una delle chiese romaniche più recenti di tutta la Valtènesi. La facciata ora è senza intonaco ed è precuda dal pronao, cioè la loggetta a pianta quadrata in cui ci si trova dopo aver affrontato tre gradini. Questa protegge il portone d’ingresso, attorno al quale si aprono tre finestre che illuminano l’interno. L’interno della chiesa si presenta ad un’unica navata che sfocia in un’abside: entrando si percepisce l’armonia che governa gli spazi. Dal presbiterio si passa, da un lato, all’interno del campanile e dall’altro si va in una grande sacrestia. Il pavimento, antico e molto semplice, è in cotto; quello dell’abside invece risulta essere più recente. I dipinti che troviamo alle pareti sono recenti e contrastano con lo stile delle parti autentiche che ancora esistono. Probabilmente questa chiesa era affrescata, ma questi sono andati presumibilmente perduti nel XIX secolo, quando la chiesa fu usata come lazzaretto durante un’epidemia di colera. Passata l’epidemia la chiesa venne tinteggiata a calce per disinfezione. L’altare della chiesa è dedicato a San Nicola, protettore di pestilenze, un tempo molto temute. Oggi la chiesa campestre della Madonna della Neve – detta anche di San Michele – è solitamente chiusa al culto e in estate viene utilizzato come chiesa dell’adiacente cimitero.
Rifatta quasi interamente nel corso del XVIII secolo e ormai aderente agli stilemi barocchi, la chiesa di San Martino risale però al 1454, periodo durante il quale riuscì ad ottenere l’indipendenza dalla pieve di Manerba. Esternamente l’edificio, preceduto da una scalinata in pietra, è elegante e non eccessivo. Una serie di paraste bianche addossate alla parete gialla incorniciano il portone ligneo d`ingresso e la finestra nella parte superiore. Molto belle anche le volute e le arricciature ai lati e sulla parte alta dell’edificio, che incorniciano la chiesa senza appesantirla. L’interno ad aula unica si presenta molto luminoso, manifestando appieno la volontà di fungere da cassa di risonanza di alcuni aspetti stilistici del barocco. Questo è palese ne gioco e nel dialogo che si viene a creare fra le numerose paraste, i capitelli compositi, le cornici dentellate, l’uso dei marmi e degli stucchi presenti in gran quantità nella chiesa, e attorno agli altari magistralmente intarsiati, cinque in tutto, di cui quello absidale è quello maggiore.
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